I poteri del giudice tributario sono integrativi

I poteri del giudice tributario sono integrativi

Il Giudice tributario non può cercare le prove, deve attenersi a quelle prodotte dalle parti, salvo ci siano impedimenti a produrle.

In base al principio dispositivo del processo (Art.115 cpc) il giudice tributario non può disporre l’acquisizione di documenti o prove, che non siano state versate in atti dalle parti, se lo facesse violerebbe l’imparzialità imposta al giudice dalla Costituzione (art.111 C.). L’art.7 del Dlgs 546/92 come modificato dall’art. 3 bis del D.L. 203/2005 convertito in L.248/2005 conferisce al giudice solo un potere integrativo, ossia quello di ordinare l’acquisizione di documenti o prove su istanza della parte interessata che non riesce ad acquisire, certamente non la pubblica amministrazione. Tale potere non può sopperire le mancanze delle parti. Tali limitazioni sono estese anche al Giudice di appello che ai sensi del combinato degli art.58-61 del Dlgs 546/92 ha gli stessi poteri del giudice di primo grado.

Quindi il modus operandi di molti giudici tributari, che ordinano l’integrazione del contraddittorio con l’Ente impositore al fine di acquisire prove relative all’ente impositore (Cassazione Civile ordinanza n. 27785 del 4-12-2020, Cass.21 giugno 2019, n. 16685) è contraria al principio dispositivo del processo ed eccede i poteri del giudice tributario.

 

Riferimenti normativi: art. 7, art. 58, art. 61  d.lgs. n. 546/1992, art. 115 – 210  cpc, art, 111 C., Art. 3 bis c. 5 D.L. 203/2005, conv. L. 248/2005, art.39 Dlgs 112/99.

Riferimenti giurisprudenziali: Cass. n. 29856/2021 – Cass. n. 16171/2018, Cass. n.14656/2013, Cass. Cass. n. 14960/2010, Cass. n. 7078/2010, Cass. n. 673/2007, Cass. n. 24464/2006, Cass. n. 10970/2007, Cass. n. 13152/2014, Cass. n. 14244/2015, Cass. n. 19475/2005, (sul litisconsorzio:Cass.27785/2020-Cass.16685/2019-Cass SSUU 16412/2007)

L’art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, e dunque anche nell’ora abrogato terzo comma (che attribuiva «alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia»), deve essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 15/01/2007).

Tale potere, pertanto, può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (Cass. Civ., Sez. 5, n. 24464 del 17/11/2006,; n. 14960 del 22/06/2010,) e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 7078 del 24/03/2010; Sez. 5, n. 10970 del 14/05/2007). In secondo luogo i poteri in questione non sono arbitrari ma discrezionali ed il loro esercizio, così come il loro mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 2007, cit.).

L’art. 58 comma 1 d.l.gs. 546/1992 prevede sul punto che “Il giudice di appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile”. L’art. 61 del d.l.gs. 546/1992, poi, dispone che “nel procedimento di appello si osservano in quanto compatibili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione”. L’art. 7 dello stesso decreto legislativo prevedeva, al comma 3, fino alla sua abrogazione con l’art. 3 bis comma 5 del d.l. 203/2005, convertito in legge 248/2005, la facoltà per la commissione tributaria di ordinare, in qualsiasi momento, il deposito di documenti necessari ai fini della decisione”. La Cassazione, ha affermato che, a seguito dell’abrogazione dell’art. 7, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al giudice di appello non è più consentito ordinare il deposito di documenti, dovendo, invece, essergli riconosciuto il potere di ordinarne “ex officio” l’esibizione ai sensi dell’art. 210 cod. proc. Civ. (Cass.Civ., 11 giugno 2014, n. 13152). Infatti, si è rilevato che le “nuove prove” che il giudice di appello può disporre ex officio, sono quelle stesse che il giudice di primo grado può ordinare ai sensi dell’art. 7 del d.Ig. 546/1992, non potendosi ritenere che il giudice di secondo grado abbia poteri istruttori ufficiosi diversi e maggiori rispetto a quelli della Commissione provinciale. Pertanto, dopo l’abrogazione del comma 3 dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, nemmeno al giudice di appello è consentito di ordinare il deposito di documenti sollevando la parte dall’onere della prova, residuando soltanto il potere di ordinare l’esibizione ex officio di cui all’art. 210 c.p.c..

L’unica ipotesi in cui è possibile disporre l’esibizione di documenti d’ufficio ai sensi dell’art. 58 comma 1 d.lgs. 546/1992 è quando sussista il presupposto dell’impossibilità di acquisire la prova altrimenti, come nel caso in cui una parte non possa conseguire i documenti in possesso dell’altra (Cass.Civ., sez. V, 8 luglio 2015, n. 14244), in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti (Cass.Civ., sez.V, 19 giugno 2018, n. 16171). Al contrario, proprio per la giurisprudenza formatasi per l’applicazione dell’art. 210 c.p.c., non può essere ordinata l’esibizione in giudizio di un documento di una parte o di un terzo, quando l’interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa (Cass.Civ., sez. 3, 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass.Civ., sez. 2, 11 giugno 2013, n. 14656).

Napoli,li 14/11/2021

Dott. Giuseppe Marino

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