Il Ne bis in Idem Europeo divieto di doppia sanzione

Il Ne bis in idem Europeo (art.184 e ss TUE), ossia il divieto di doppia sanzione tributaria e penale, sancito dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Stevens contro Italia – ric. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10 – depositata il 04/03/2014

Il contribuente Italiano non può essere soggetto a procedimento penale e sanzione amministrativa, la sanzione amministrativa tributaria, per il suo elevato grado di afflittività è considerata penalmente rilevante.

Il Ne bis in idem europeo è quindi il divieto di assoggettare a doppia sanzione i cittadini Europei, un divieto da tener presente come eccezione quando ci si oppone a un accertamento tributario, che contempli oltre alla sanzione tributaria, anche la sanzione penale.

Tale divieto ha fondamento anche nell’ordinamento italiano, in particolare l’art.9 c.1 della L.689/1981 (sulle sanzioni amministrative) e l’art. 19 del Dlgs 74/2000 (in materia penale tributaria) e art.13 del Dlgs 471/1997 (in materia di sanzioni tributarie) esclude il concorso tra sanzione amministrativa e penale e impone l’applicazione del principio di specialità, tra sanzione amministrativa e sanzione penale, si applica quella speciale, ossia quella penale.

Secondo il diritto europeo, non si può colpire il cittadino comunitario in un simile modo aggressivo.

Il funzionario pubblico deve scegliere se comminare la sanzione tributaria o quella penale tributaria, entrambe sono illegittime.

Anche perché secondo il principio di correttezza e buona fede che dovrebbe guidare l’azione amministrativa pubblica, entrambe le sanzioni andrebbero a gravare economicamente sul contribuente che dovrà affrontare i costi di due processi.

Questa mia tesi la giustifico con una ricostruzione giurisprudenziale di seguito illustrata.

La questione è semplice per le ditte individuali, non è altrettanto facile per le società, perché a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 7 del D.L. n. 269/2003 “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

Con l’introduzione della sanzionabilità anche delle persone giuridiche; ponendo a  carico di un soggetto diverso rispetto a quello che ha effettivamente operato l’illecito (l’amministratore) consente di fatto di eludere il divieto della doppia sanzione, la sanzione amministrativa alla società, quella penale al legale rappresentante.

L’amministrazione fiscale italiana è guidata da pregiudizi ideologici e influenzate da una classe politica, che con le sue leggi tributarie a carattere emergenziale è stata capace di sovvertir i più elementari principi di diritto per tutelare gli le casse statali.

Le sanzioni amministrative  tributarie,  arrivano al 240% dell’imposta e considerato che la tassazione supera ampliamente il 50% del reddito imponibile (che non è quelle reale, ma quello calcolato dal fisco)  la sanzione reale è la chiusura dell’attività.

La sanzione penale tributaria, che comporta non solo conseguenze sulla fedina penale del contribuente, impedendogli di partecipare a gare pubbliche, ma comporta un notevole aggravio di spese, affrontare un processo penale non è economico, tenendo anche presente dell’assurdità che non è possibile usufruire del patteggiamento senza aver preventivamente pagato le imposte.

La chiusura dell’esercizio e la cessazione della partita iva, come ulteriore sanzione, si pensi all’esercente che per tre volte viene sanzionato per omessa emissione dello scontrino fiscale o al contribuente sospettato di aver utilizzato crediti inesistenti.

Il raddoppio dei termini (per fortuna abolito), ampliamente impiegato come un ulteriore sanzione, strumento che ha permesso all’agenzia delle Entrate di perpetrare ogni genere di abuso.

Infine ci sono le misure cautelari come il sequestro preventivo e la confisca  per equivalente, la confisca ha natura sanzionatoria perché non prevede alcuna connessione con il profitto del reato, né la colpa (Cassazione a  SS.UU. sentenza  n. 31617/2015).

Il divieto della doppia sanzione è già presente nel nostro ordinamento, ma non rientra nel diritto vivente, il problema è stato portato all’attenzione dei nostri governanti dalla Corte di Giustizia Europea, che con la sentenza Grande Stevens ha finalmente reso operativo questo divieto.

Con la sentenza Grande Stevens contro Italia – ric. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10 – depositata il 4.3.2014, si affronta a livello europea la problematica della doppia sanzione amministrativa e penale.

Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto espresso dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo è il seguente: Dopo che, nei confronti di una società, sono state comminate sanzioni amministrative dalla Consob ed esse siano divenute definitive, l’avvio di un processo penale sugli stessi fatti viola il principio giuridico del ne bis in idem, in quanto in base ai principi dell’unione europea un soggetto non può essere punito due volte per lo stesso fatto.

Nel processo Grande Stevens, il quesito posto alla Corte è stato il seguente: se, dopo che ad una Società siano state comminate sanzioni amministrative dalla CONSOB, divenute definitive, l’avvio di un processo penale sugli stessi fatti violi il principio del ne bis in idem.

Anche se il procedimento innanzi alla Consob è di natura amministrativa, le sanzioni inflitte possono essere considerate a tutti gli effetti come penali, anziché  amministrative, per la loro natura repressiva, per l’eccessiva severità delle stesse (valutata sia in base all’importo sia  per le sanzioni accessorie), oltre che per le loro ripercussioni sugli interessi del condannato.

Pertanto, il sistema del doppio binario  realizza di fatto di una forma cumulativa del reato e dell’illecito amministrativo per i medesimi fatti  previsto dagli articoli 184 e ss TUF violando  il principio del ne bis in idem.

La Corte Europea ritiene applicabile il principio, ben noto nel nostro ordinamento,  della prevalenza della sostanza delle sanzioni sulla loro forma, valutando  la reale natura delle misure sanzionatorie previste negli ordinamenti nazionali alla luce delle loro concrete peculiarità e conseguenze e non in forza della mera qualificazione giuridica ad esse attribuita dai singoli Stati membri.

Ci si chiede se una norma in contrasto con diritto europeo, possa essere disapplicata dal Giudice e se sussiste un obbligo a carico del pubblico funzionario al rispetto della normativa europea in contrasto con quella nazionale.

Orbene la risposta a mio parere è affermativa e parte dalla seguente ricostruzione giurisprudenziale europea e nazionale.

La Corte Costituzionale con la sentenza n.14/64, aveva ritenuta valida la normativa nazionale in contrasto con quella europea, salvo al responsabilità del governo nei confronti dell’unione europea. La Corte di giustizia europea con procedimento  C-6/64, affermò completamente il contrario, la norma europea prevale su quella nazionale.

La Corte Costituzionale  con sentenza n.183/73 riconosce la prevalenza della normativa dell’unione su quella nazionale, ma vieta la diretta applicazione della stessa obbligando il giudice nazionale al rinvio alla Corte Costituzionale,  della norma nazionale in contrasto.  Interviene anche in questa occasione la Corte di Giustizia con procedimento C-106/77 sconfessando ancora una volta i giudici della Consulta, stabilendo l’obbligo da parte di Giudici nazionale di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con le norme dell’unione come previsto dall’art.288 TUE.

La Corte Costituzionale con sentenza 170/84 riconosce, come imposto dalla corte di giustizia europea con procedimento C-106/77 e come previsto dall’art.288 TUE, il potere dovere dei giudici nazionali di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con le norme dell’unione. La Corte di Giustizia Europea con procedimento  C-103/88, impone infine anche agli organi amministrativi dello stato e quindi anche ai funzionari e i dirigenti  il potere dovere di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con quella europea. La Corte Costituzionale con sentenza 389/89 assimila quest’ultimo principio.

Napoli,li 01/07/2021

Dott. Giuseppe Marino

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