La motivazione di un atto impositivo deve sussistere come imposto dall’art. 7 della L. 212/2000 ab origine, non essendo consentito integrarla in corso di causa. L’integrazione postuma in giudizio, andrebbe ad eludere l’obbligo motivazionale rendendo vana la relativa sanzione di nullità.
I collegi che ritengono ammissibile tale integrazione in corso di causa, non rispettano il dettato normativo, vanificando la sanzione posta dal legislatore per la omessa o carente motivazione.
Riferimenti normativi: Art. 7 L.212/2000, art. 3 L.241/1990, Art. 42 Dpr 600/73
Riferimenti giurisprudenziali: Cass. 11284/2022, 28560/2021, Cass. n. 2382/2018, n. 12400/2018, n. 3762/2019
Ai fini della verifica del concreto rispetto del diritto di difesa della contribuente, in termini di effettiva conoscibilità, da parte della contribuente, dei presupposti della pretesa impositiva. Non è ammissibile una motivazione postuma del provvedimento impugnato, situazione che si verifica quando l’Amministrazione finanziaria colma ex post, e cioè in giudizio, le lacune dell’atto impositivo caratterizzato da un’insufficiente esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, avendo affermato che tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato non solo tempestivamente con l’inserimento ad origine nel provvedimento impositivo, ma anche con quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa.
L’obbligo di idonea e completa motivazione dell’atto impositivo, previsto dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000, è volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione e pertanto l’Ufficio non può integrare il contenuto di detta motivazione in corso di causa ma si deve limitare ad illustrare fatti e questioni oggetto di causa, nell’ambito di una paritaria dialettica processuale, per incidere sul convincimento del giudice (Cass. n. 2382/2018, n. 12400/2018, n. 3762/2019, vedi anche Cass.n. 28560/2021, sul “principio di leale collaborazione tra privato e p. a.”, che non segna discontinuità rispetto all’insegnamento tradizionale della Corte in quanto la decisione fa comunque salvo “il diritto di difesa dell’interessato”).
L’obbligo di motivazione di cui all’art. 7, I. n. 212 del 2000, impone che sia comunque possibile per il contribuente individuare la base imponibile e l’aliquota tariffaria applicata dall’Ufficio, sia pure all’esito di una operazione di mero calcolo matematico, senza margini d’incertezza. La Cassazione si è espressa nel senso che “la mancata specificazione di questi elementi applicativi fondamentali determinava in effetti una lesione dei diritti dei contribuenti, in particolare quando sussiste un rapporto di solidarietà almeno apparentemente limitato ai convenuti ritenuti responsabili per la stessa quota-parte”. (Cass.26340/2021).
Napoli.li 18/04/2022
Avv. Giuseppe Marino