Nullità degli atti fiscali emessi dall’agenzia delle entrate incompetente

Nullità dell’atto impositivo per incompetenza territoriale della Direzione Provinciale o dell’agenzia entrate riscossione.

E’ nulla la cartella emessa e notificata da un concessionario non competente territorialmente, gli artt. 12, comma 1, e 24, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, delimitano la competenza per territorio del concessionario con riguardo, in generale, a tutti gli atti successivi alla consegna del ruolo, inclusa, quindi, la cartella di pagamento.

E’ nullo l’accertamento emesso da una Direzione provinciale non competente. Dispone l’art. 31, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973 che «la competenza spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del oggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata». Tale norma determina la competenza a procedere all’accertamento

Riferimenti normativi: Art. 31 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, Art. 12, comma 1, e art. 24, comma 1, del Dpr. n. 602/73, Art.2 Tuir

Riferimenti giurisprudenziali: Cass. 14364/2023 – Cass. 33862/2022 – Cass.13986.2022 – Cass. 11620/2021  Cass. 8049/2017, Cass. 19577/17, Cass. 8049/2017, Cass.5358/2006, Cass. 11170/2013

Ogni atto impositivo deve essere emesso dall’organo territorialmente competente e la competenza territoriale dell’Ufficio finanziario è individuata dall’art. 31 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, con riferimento al domicilio fiscale del contribuente.

Tale disposizione prevede che la competenza spetta all’Ufficio distrettuale nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o doveva essere presentata.

L’ente impositore competente affida al concessionario della riscossione ai sensi dell’art. 24 del Dpr  602/1973.

Analogamente, per quanto ai ruoli, ai sensi dell’art. 12 D.P.R. n. 602 del 1973, l’Ufficio accertatore “forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano”, così come l’art. 24 del D.P.R. n. 602 del 1973, dispone che “l’Ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”.

Sul punto si è espressa anche la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 8049/2017, che ha confermato i principi sin qui esposti, osservando quanto segue: “La competenza territoriale dell’Ufficio finanziario è individuata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, con riferimento al domicilio fiscale del contribuente. La disposizione prevede che la competenza spetta all’Ufficio distrettuale nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o doveva essere presentata (v. Cass. sez. 5, n. 5358/2006, Cass. sez. 5, n. 11170/2013). Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, il contribuente è tenuto a comunicare ogni variazione del domicilio fiscale, permanendo in caso contrario la competenza territoriale dell’Ufficio individuato in riferimento al precedente domicilio (Cass.  ord. n. 21290 del 2015). Ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 (come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1) l’Ufficio accertatore forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano, così come il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24 dispone che “l’Ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”.

Anche la Suprema Corte, dunque, ha ritenuto dirimente il criterio di competenza territoriale, facendo discendere dalla una sua violazione l’illegittimità degli atti finali adottati.

L’incompetenza territoriale è rilevabile anche d’ufficio: La Corte di Cassazione in materia d’incompetenza territoriale degli uffici finanziari ha affermato che “E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 1983, n. 2301; 1980, n. 4277; 1977, n. 4462) che il difetto di competenza territoriale dell’Ufficio tributario che ha proceduto all’accertamento tributario comporta l’assoluta carenza di potere dell’organo amministrativo e, quindi, un vizio sostanziale e radicale dell’atto di accertamento dal quale discende la nullità assoluta di tali atti rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per oggetto tali atti e, quindi, anche innanzi al giudice delle Commissioni tributarie ovvero innanzi alla giurisdizione ordinaria adita dopo la pronuncia di tali organi ( Difatti, con la sentenza n° 2998/1987, Cass. 1980, n. 4277 )”.

Approfondimento sulla competenza per gli atti esattoriali

La Cassazione  ha  più volte affermato che, ai sensi degli artt. 12, comma 1, e 24, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 — secondo cui, rispettivamente, «L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce» e «L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce  la competenza territoriale a emettere la cartella di pagamento si determina in base al criterio della correlazione tra l’ambito territoriale di operatività del concessionario (ora agente della riscossione) e il domicilio fiscale del contribuente iscritto a ruolo (Sez. 5, sentenze n. 8049 del 2017 e n. 20669 del 2014, secondo la quale ultima il detto criterio «appare del tutto coerente con il sistema della riscossione coattiva dei tributi a mezzo ruolo, e si giustifica in considerazione delle esigenze di speditezza ed efficienza dell’azione amministrativa, tenuto conto che, nella fase successiva alla notifica della cartella di pagamento, si instaura un rapporto diretto tra il contribuente e tale organo della riscossione (competente a ricevere i pagamenti ed a rilasciare le relative quietanze; competente ad iniziare l’espropriazione)»). E’ errato asserire  che la cartella di pagamento emessa da un concessionario del servizio di riscossione territorialmente incompetente non è invalida. Con la menzionata sentenza n. 8049 del 2017, la Cassazione ha già statuito l’illegittimità dell’atto (nella specie, un fermo di beni mobili registrati) emesso, in violazione del criterio determinativo della competenza stabilito dai citati artt. 12, comma 1, e 24, comma 1, del d.P.R. n.602 del 1973, da un concessionario operante in un ambito territoriale diverso da quello in cui è compreso il domicilio fiscale del contribuente e, perciò, territorialmente incompetente; conclusione che vale, all’evidenza, anche per la cartella di pagamento (emessa da un concessionario del servizio di riscossione territorialmente incompetente), atteso che gli artt. 12, comma 1, e 24, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, delimitano la competenza per territorio del concessionario con riguardo, in generale, a tutti gli atti successivi alla consegna del ruolo, inclusa, quindi, la cartella di pagamento. Tale illegittimità della cartella di pagamento emessa da un concessionario del servizio di riscossione territorialmente incompetente discende dal fatto che la competenza per territorio a emanare gli atti di riscossione, così come quella a emanare gli atti di accertamento (per i quali ultimi la competenza è attribuita, ex art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, «all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata»), in quanto definisce e delimita, in base a previsioni di legge, il potere spettante a ciascun ufficio — che lo può quindi esercitare esclusivamente nell’ambito della propria circoscrizione territoriale — non può essere derogata al di fuori delle ipotesi espressamente previste (in tema di invalidità dell’atto di accertamento emesso da un ufficio territorialmente incompetente, ex plurimis, Sez. 5, sentenze n. 11170 del 2013 e n. 5358 del 2006). Alla luce di quanto precede, nessun fondamento hanno gli argomenti spesi dalla CTR a sostegno della validità della cartella di pagamento emessa da un concessionario territorialmente incompetente, in particolare quello secondo cui «la cartella […] non è ancora atto esecutivo, che compete in via esclusiva al Concessionario dell’ambito in cui risiede il debitore, ma costituisce una formale intimazione di pagamento». Il fatto che la cartella di pagamento «non [sia] ancora atto esecutivo» non esclude infatti che, ai sensi delle generali previsioni degli artt. 12, comma 1, e 24, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, essa possa essere legittimamente emanata soltanto dal concessionario che opera nell’ambito territoriale in cui il contribuente iscritto a ruolo ha il proprio domicilio fiscale.

Approfondimento sulla competenza per gli accertamenti

La competenza non può essere desunta in base ai criteri di cui all’art. 2, comma 2-bis d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), bensì in base al luogo del reddito prodotto, da individuarsi nel luogo del domicilio dichiarato dalla contribuente in relazione ai redditi dichiarati in Italia. A termini dell’art. 31, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, la competenza per l’accertamento di maggiori redditi spetti all’Ufficio distrettuale ove si trova il domicilio fiscale e che, a termini dell’art. 58 ult. cit., i cittadini italiani residenti in Paesi a fiscalità privilegiata ex art. 2, comma 2-bis d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato. Deduce, al riguardo, parte ricorrente che l’art. 2, comma 2-bis TUIR cit. pone una presunzione relativa di residenza del contribuente in Italia, residenza che andrebbe individuata, ai fini dell’accertamento fiscale, nell’ultima residenza anagrafica, come avvenuto in caso di avvisi di accertamento di precedenti periodi di imposta. Sotto un secondo profilo, la ricorrente deduce che la competenza per i contribuenti non residenti in Italia, ancorché residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, dovrebbe comunque individuarsi nel Comune di produzione del reddito e, in ogni caso, nel luogo di produzione del reddito più elevato.

 Dispone l’art. 31, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973 che «la competenza spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del oggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata». Tale norma determina la competenza a procedere all’accertamento per relationem in base al domicilio fiscale del contribuente, individuato a sua volta, a termini dell’art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973, in virtù del Comune di residenza anagrafica («Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte»). Ai contribuenti persone fisiche residenti in Italia il legislatore equipara, poi, le persone fisiche nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria accerti che, benché non residenti, abbiano avuto in Italia «per la maggior parte del periodo di imposta» il domicilio, inteso come la sede dei propri affari (art. 2, comma 2, TUIR), riconoscibile ai terzi (Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11620). La ratio del combinato disposto di queste norme è quella di agganciare la competenza territoriale degli uffici alla residenza del contribuente, di diritto o di fatto a termini dell’art. 2, comma 2, TUIR. Per tutti questi contribuenti persone fisiche, residenti in Italia o di cui si accerti la residenza fiscale in Italia, si rende applicabile il principio della tassazione in Italia e al conseguente pagamento delle imposte in Italia sui redditi ovunque conseguiti (worldwide income taxation principle), vuoi perché formalmente residenti in Italia, vuoi perché ne venga accertata in Italia la residenza fiscale ex art. 2, comma 2, TUIR in base a uno dei tre alternativi criteri previsti da tale disposizione e, quindi, in costanza di una fittizia residenza all’estero del contribuente (Cass., Sez. V, 22 giugno 2021, n. 17849). 3. Per i cittadini non residenti, o per i quali l’Ufficio non ritenga di accertare la residenza in Italia, si applica il diverso principio della tassazione del solo reddito prodotto in Italia (cd. principio della fonte o source principle), la cui competenza per l’accertamento spetta all’Ufficio distrettuale del Comune in cui è stato prodotto il reddito, ovvero a quella del Comune in cui è stato prodotto il reddito più elevato (art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973). La residenza fiscale in Italia, assurge a presupposto necessario e sufficiente per l’applicazione del principio secondo cui la persona fisica sconta l’imposta per i redditi ovunque prodotti nel mondo. Ove questa residenza fiscale non sia accertata in Italia, si applica il criterio, residuale, del reddito prodotto in Italia (art. 3 TUIR: «l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti […] e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato»). A tali disposizioni si aggiunge l’art. 2, comma 2-bis TUIR, introdotto dall’art. 10 l. 23 dicembre 1998, n. 448, il quale prevede che «si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale». Tale norma, avente finalità antielusiva, non introduce un ulteriore criterio di individuazione della residenza fiscale, ma si limita a invertire sul contribuente l’onere della prova circa la effettiva residenza estera del contribuente, ove egli risieda formalmente in Paesi a fiscalità privilegiata e ove l’Ufficio ritenga che il contribuente abbia conservato la residenza fiscale in Italia. Non costituendo tale norma un tertium genus di criterio di collegamento tra contribuente e territorio dello Stato, bensì una semplificazione processuale a favore dell’Ufficio, consistente nella inversione a carico del contribuente dell’onere della prova circa la residenza all’estero, tale disposizione si applica al solo caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti come fittizia o meramente apparente la fissazione della residenza nel Paese a fiscalità privilegiata. Ove, invero, non vi sia contestazione da parte dell’Ufficio della indicata estera, la suddetta norma non si applica e il contribuente risulterà formalmente residente all’estero, applicandosi il principio della tassazione della fonte di reddito. Da tale quadro normativo emerge che ai contribuenti iscritti all’A.I.R.E. per i quali l’Ufficio non contesti la natura apparente della residenza fissata al di fuori del territorio dello Stato, si applica il principio della tassazione del reddito prodotto in Italia. Questo principio è applicabile sia ai contribuenti residenti nei Paesi non rientranti nella black list dei Paesi a fiscalità privilegiata e per i quali non si accertino i presupposti di cui all’art. 2, comma 2, TUIR, sia ai contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio contesti l’effettiva residenza anagrafica e, pertanto, per i quali non si faccia applicazione dell’art. 2, comma 2-bis TUIR.  Tale interpretazione non contrasta con l’ulteriore disposizione dell’art. 10, l. n. 448/1998, cit., che ha introdotto all’art. 58, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973 un ulteriore periodo, secondo cui «i cittadini italiani considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato». Tale norma si limita a stabilire che, per i contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata di cui l’Ufficio accerti la residenza in Italia (e, quindi, la mera apparenza della residenza estera nel Paese in black list), in applicazione dell’art. 2, comma 2-bis TUIR – quindi, nei casi in cui tale disposizione normativa entri concretamente in gioco – la competenza per l’accertamento dei maggiori redditi, ovunque prodotti, spetti in ogni caso – al pari dei cittadini non residenti – all’Ufficio di ultima residenza in Italia. La norma coniuga il principio secondo cui il cittadino, all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., recide formalmente i legami con il territorio dello Stato, con il principio della domiciliazione in Italia dei contribuenti residenti in Paesi in black list quale presunzione semplice, domiciliazione che viene individuata nel luogo di ultima residenza anagrafica all’atto della cancellazione dall’anagrafe residenti. Il presupposto dell’applicazione di tale disposizione è, come si è detto, che l’Ufficio invochi la presunzione di cui all’art. 2, comma 2-bis TUIR al fine di dedurre la fittizia residenza nel Paese in black list. Se si opinasse diversamente, dovrebbe ritenersi che il cittadino residente in uno dei Paesi in black list sarebbe presuntivamente sempre residente in Italia, laddove la norma viene in oggetto solo ove l’Ufficio contesti la residenza estera del contribuente e invochi, a proprio vantaggio, una norma che inverte l’onere della prova della residenza estera sul contribuente, ma senza creare un ulteriore criterio di collegamento tra territorio dello Stato e contribuente. 7. Riassuntivamente, deve concludersi che l’applicazione della presunzione semplice di residenza in Italia di cui all’art. 2, comma 2- bis TUIR opera unicamente ove vi sia contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la dissociazione tra il dato formale dell’iscrizione all’A.I.R.E. conseguente alla fissazione di residenza in un Paese in black list e il dato sostanziale della effettiva residenza fiscale del contribuente. Ove, invero, non vi sia contestazione alcuna che la cancellazione dall’Anagrafe residenti abbia, comunque, reciso i legami del contribuente con il territorio dello Stato, non può negarsi applicazione al criterio, residuale, della mera tassazione in Italia del solo reddito prodotto dal cittadino non residente. Argomentazione, del resto, fatta propria dalla stessa amministrazione controricorrente, ove deduce che l’art. 2, comma 2-bis TUIR si rende applicabile solo in caso di residenza fittizia nei Paesi a fiscalità privilegiata. 8. Da tale conclusione deve trarsi il corollario secondo cui, non essendo in contestazione (in tesi) la residenza estera della contribuente, né – di conseguenza – l’avvenuto troncamento del rapporto di domiciliazione tra la contribuente odierna ricorrente e il territorio dello Stato, non può avere alcun rilievo in tesi nel caso di specie – ancorché la contribuente sia residente in un Paese a fiscalità privilegiata – l’elezione di domicilio ai fini dell’accertamento del domicilio effettivo della contribuente, ancorché in luogo diverso dall’ultima residenza anagrafica all’atto dell’iscrizione all’A.I.R.E., non essendo applicabile per i cittadini non residenti il criterio della tassazione del reddito ovunque posseduto, bensì quello del luogo di produzione del reddito, che prescinde dall’eventuale domicilio dichiarato dal contribuente. Deve, pertanto, ritenersi il criterio che radica la competenza dell’Ufficio è quello del luogo del reddito prodotto e non quello del domicilio dichiarato. Va, la Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «In caso di contribuente residente in Paesi a fiscalità privilegiata, ove l’Ufficio non contesti la residenza del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che abbia rilievo l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia».

Napoli,li 27/12/2023

Avv. Giuseppe Marino

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