Esenzione imu a un solo coniuge incostituzionale, si apre la via del rimborso e del contenzioso

La limitazione dell’esenzione dal pagamento Imu sulla prima casa circoscritta  soltanto ad un coniuge in caso di residenza diversa, è stata ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 209/2022 depositata il 13/10/2022.

Riferimenti normativi: l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge201/2011, Articolo 13 comma 2 quinto periodo del Dl 201/2011

Riferimenti giurisprudenziali: Corte Costituzionale sentenza 209/2022 depositata il 13/10/2022

Come tutti ricorderete, gli sceriffi delle tasse hanno sempre cercato di sostenere che la residenza dei coniugi in luoghi  diversi  fosse uno strumento di elusione fiscale. Tale tesi molto cara a una fazione politica, sposata dai giudici della Cassazione ha portato in primo luogo a sentenze pro fisco in serie e poi alla norma discriminatrice, che obbligava i coniugi a scegliere per una sola residenza ai fini dell’esenzione imu.

Orbene questa tesi è stata ormai definitvamente smantellata dalla Corte Costituzionale.

L’esenzione dal pagamento dell’Imu sulla prima casa spetta indipendentemente dal nucleo familiare, quindi la norma che obbligava i coniugi a scegliere una sola residenza ai fini dell’esenzione imu è incostituzionale, pertanto anche se i coniugi risiedono in comuni diversi, l’esenzione spetta sempre e comunque a condizione ovviamente che ci sia dimora abituale.

Ora chi ha pagato volontariamente non con avviso di accertamento che andava impugnato,  deve presentare istanza di rimborso entro 48 mesi dal pagamento e trascorsi 90 giorni in caso di silenzio rifiuto o di rigetto esplicito, fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.

La sempre meno rara scelta di  persone unite in matrimonio o unione civile di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale» sarebbe compromessa irragionevolmente, inoltre verrebbe lesa la «parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori dalla sede familiare»

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 209/2022 depositata il 13/10/2022  ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge n. 201/2011 là dove parlando di definisce quale abitazione principale la definisce come quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare finendo per penalizzarlo, in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.

L’illegittimità è stata estesa anche ad altre norme, in particolare a quelle che, per i componenti del nucleo familiare, limitano l’esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo comune (quinto periodo del comma 2 dell’articolo 13, Dl 201/2011)  e che prevedono che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse (comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019, come modificato dall’articolo 5-decies del Dl 146/2021).

Quest’ultima norma, ha precisato la Corte, è stata introdotta dal legislatore per reagire all’orientamento della giurisprudenza di legittimità: la Cassazione è infatti giunta «a negare ogni esenzione sull’abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un comune diverso da quello del possessore dell’immobile».

La Consulta ha chiarito che questo orientamento è dipeso dal riferimento al nucleo familiare così come emerge dalla norma su cui la Corte si è autorimessa la questione di legittimità; ha poi precisato che in «un contesto come quello attuale», «caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale».

Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla «prima casa», non ritenere sufficiente – per ciascun coniuge o persona legata da unione civile – la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto. I quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio.

La Corte ha dunque ristabilito il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e però ha ritenuto «opportuno

chiarire» che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale mirano a responsabilizzare «i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli», controlli che «la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci».

Napoli,li 13/10/2022

Avv. Giuseppe Marino

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