Principio di Alternatività Iva e Imposta Registro, rapporto tra le due imposte e applicazioni pratiche

Alternatività Iva e Imposta Registro, Evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’art.20 del Dpr 131/1986, il rapporto tra accertamento di valore ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’imposta di registro.

Sintesi dell’intervento nel convegno del 27/11/2023 – Professionisti del diritto

Il principio di alternatività tra Iva e imposta di registro è previsto dall’articolo 40 comma 1 del Testo Unico dell’imposta di registro, il quale dispone che per gli atti aventi ad oggetto cessioni di beni e prestazioni di servizi rientranti nel campo di applicazione dell’Iva, l’imposta di registro si applica in misura fissa.

Quindi se si acquista un immobile da una società che applica l’Iva, l’imposta di registro va applicata in misura fissa e non in misura percentuale.

Tale regola non trova applicazione ai fini delle locazioni.

Ai fini dei contratti di Locazione l’articolo 40 D.P.R. n. 131/1986, sancisce il principio di alternatività Iva-registro, in virtù del quale l’imposta di registro si applica in misura fissa alle operazioni soggette ad Iva; al comma 1-bis esclude l’alternatività in relazione alle locazioni riguardanti immobili strumentali, le quali scontano l’imposta di registro proporzionale anche se assoggettate ad Iva.

Il problema si pone soltanto per gli atti soggetti a registrazione
ad esempio per le cessione immobili (Presupposto impositivo iva è dove si trova l’immobile), la Cessione d’azienda etc..

Limitatamente agli immobili si rammenta che non trova applicazioni il principio del B2B o B2C, ma la deroga normativa in virtù del quale ai fini iva per le cessioni di immobili rileva dove è situato l’immobile oggetto della compravendita.

Pertanto se chi vende è una società americana che vende l’immobile a Roma a una società Olandese, l’iva si applica e l’imposta di registro sarà applicata in misura fissa.

Il problema sorge per quelli che sbagliano perché se pagano l’imposta di registro in misura percentuale, hanno 48 mesi per chiedere il rimborso, mentre l’accertamento viene notificato entro 5 anni, quindi se spira il termine per il rimborso e si viene a sapere di aver sbagliato a pagarla quando arriva l’accertamento ai fini Iva, non si potrà più recuperare l’imposta erroneamente versata.

La normativa  ai fini dell’imposta di registro è stata per anni strumento di vessazione ai danni dei contribuenti, la mancata impugnazione dell’avviso di accertamento ai fini del registro rendeva poi non discutibile il valore ai fini delle IIDD. Per poi passare alla riqualificazione degli atti.

Per l’amministrazione finanziaria era più semplice ricorrere alla normativa sull’imposta di registro anziché emettere un accertamento per l’abuso del diritto, che avrebbe dovuto emettere con motivazione rafforzata.

L’accertamento di valore ai fini dell’imposta di registro non impugnato, rendeva incontestabile il valore ai fini delle imposte dirette. Per anni con  la sentenza n. 4117 del 2002 della Corte di Cassazione è stata  partorita la tesi dell’automatismo tra valore e prezzo, cosa significa questo, che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro veniva automaticamente esteso ai fini delle imposte dirette.

Quasi tutti i giudici tributari si erano uniformati a questa sentenza assurda, con la quale si sosteneva che nonostante l’art. 86 del T.U.I.R. (ex art.54) non presentasse specifici criteri per la determinazione della plusvalenza in ordine alla nozione di avviamento, per la determinazione del valore della plusvalenza si faceva riferimento all’accertamento  ai fini dell’imposta di registro.
Tale sentenza non è condivisibile perché il prezzo della  cessione  non può essere desunta dall’ammontare assunto ai fini dell’imposta di registro (art.51 Dpr 131/86) , perché ai fini dell’imposta di registro (l’art. 86, comma 2) si  tassa il valore, mentre i fini delle imposte dirette si tassa la plusvalenza.
Successivamente, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 24054 del 2014, è stata assunta  una posizione decisamente diversa da quella precedentemente descritta.

Viste le due diverse posizioni il legislatore con Il Decreto internazionalizzazione delle imprese, in particolare con l’art. 5, D.Lgs. n. 147/2015 producendo una norma di interpretazione autentica, intervenuta dopo che migliaia di cittadini italiani sono stati massacrati dalle tasse,  ha stabilito che  per le cessioni di immobili e aziende , l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro.

L’art.20 del Dpr 131/1986 in vigore dal 01/01/2018, come modificato dall’art.1 della Legge del 27/12/2017 n. 205 che stabilisce:   L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi (quest’ultima farse aggiunta dalla modifica della L.205/2017).

La Cassazione per anni è stata granitica a considerare l’art.20 del Dpr 131/86 una norma anti elusiva, affermazione non condivisa visto che l’unica norma antielusiva è stata istituita con l’art. 10 bis della L.212/2000, avallando l’operato dell’amministrazione finanziaria che riqualificava addirittura atti complessi.

Ad esempio il conferimento di azienda il cui corrispettivo viene pattuito in una partecipazione sociale veniva rettificato ai sensi dell’art. 20 e ritenuta cessione d’azienda.

Con gli interventi apportati dall’art. 1, comma 87» [rectius comma 87, lettera a)], della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi

La Corte Costituzionale con la sentenza 158/2020 ha ritenuto sostanzialmente infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, con ordinanza del 23 settembre 2019, n. 23549 per dubbi di incompatibilità del “nuovo” art. 20 con quanto prescritto dagli articoli 3 e 53 della Costituzione.

La Consulta ha rigettato il ricorso della Cassazione individuando come unica norma anti elusiva l’art. 10 bis della L.212/2000

Napoli,li 27/11/2023                                         Avv. Giuseppe Marino

 

 

 

 

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