Fattura generica come rimediare ed evitare problemi con il fisco
La generica descrizione dell’attività svolta in fattura può comportare una contestazione sulla detraibilità dell’Iva, sulla inerenza del costo e soprattutto una presunzione di falsa fatturazione.
Il contribuente può provare con ogni mezzo, la detraibilità dell’iva e l’inerenza all’attività e l’amministrazione finanziaria non può sindacare sic et simpliciter l’anti economicità, l’opportunità o la convenienza dell’operazione entrando nel merito delle scelte aziendali.
Riferimenti Legislativi : Art. 21 Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633, , Art. 109 del Tuir, comma 5, Art. 1 della direttiva 2006/112/CE, art. 2697 cc
Riferimenti giurisprudenziali: Cass. 36097/2021 – Cass.8696/2021 – Cass. 9912/2020, Corte di giustizia Ue del 25 novembre 2021, causa C-334/20
La fattura deve contenere come imposto dall’art. 21 del Dpr 633/72 data, numero in ordine progressivo, l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi che formano oggetto dell’operazione.
Nella prassi molti spesso gli operatori si limitano a descrizioni generiche, si pensi anche ai professionisti, che devono anche fare i conti con il segreto professionale e la privacy dei propri assistiti. Ad esempio consulenza, prestazione di servizi, lavori presso i vostri cantieri
Il fisco può contestare la generica descrizione, però nulla osta al contribuente di dimostrare con documentazione extracontabile lo specifico riferimento alla attività svolta, quando le indicazioni non consentono di identificare con precisione l’oggetto della prestazione.
Mi capito nell’esercizio della professione che a una ditta che lavorava in subappalto e scriveva come descrizione della fattura “per lavori effettuati presso i vostri cantieri”, senza specificare a quale cantiere si riferisse e quali fossero state le attività svolte, in questo caso feci esibire alla Guardia di finanza, i contratti di appalto, le presenze dei dipendenti sula cantiere con l’annotazione delle ore di lavorazione, email e comunicazioni con il direttore dei lavori.
La prima questione da affrontare è l’onere della prova, su chi incombe l’onere di provare la detraibilità o meno dell’iva e la deducibilità del costo per inerenza?
L’art. 2697 del cc stabilisce che chi vanta una diritto lo deve provare per cui, se il contribuente vanta il diritto alla detrazione dell’Iva e alla deducibilità del costo, in difetto una precisa indicazione in fattura della prestazione effettuata, che non consenta l’individuazione precisa dell’operazione effettuata e della sua quantificazione, sarà necessario ricorrere a documenti extracontabili ad probationem.
Una volta provato il nesso causale materiale tra fatturazione e operazione effettuata, sarà onere del fisco provare una eventuale frode.
Il requisito sostanziale principale del diritto alla detrazione, enunciato dall’art. 1 della direttiva 2006/112/CE, è il e «nesso immediato e diretto» tra i beni e servizi acquistati dal soggetto passivo e le sue operazioni soggette all’imposta.
Ovviamente i problemi non sono finiti, perché anche se il contribuente abbia provato l’esistenza e il nesso causale dell’operazione con la relativa fattura, il fisco potrebbe contestarne l’anti economicità o l’opportunità.
Nel giudizio di inerenza sui costi di un’attività d’impresa, l’eventuale antieconomicità non può assurgere a unico elemento da cui trarre la non inerenza di essi rispetto all’attività. La non utilità del costo rispetto a essa, dunque, non può da sola intaccare la correlazione costo-attività. È quanto stabilito dalla sezione sesta della Corte di Cassazione con l’’ordinanza n. 6368/2021.
In sostanza il fisco non può sic et sempliciter contestare l’antieconomicità, entrando nel merito delle scelte aziendali.
Un costo è inerente se è collegato all’attività d’impresa nella sua interezza e non solo ai ricavi in senso stretto che da esso possono scaturire. La nozione di inerenza, secondo il testo normativo dell’articolo 109 del Dpr 917/86, consiste infatti in un rapporto fra spese sostenute e attività d’impresa che siano finalisticamente ordinati alla produzione di un reddito con un evidente nesso di causalità, Cass. Ordinanza n.15310/2021.
Quindi Stando alla normativa di cui all’art. 109 del Tuir, comma 5, quelle componenti negative «sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito». Ovviamente l’onere di dimostrare tale collegamento, dando conto della effettività e della natura del costo, gravava sul contribuente.
La generica descrizione dell’operazione effettuata può portare all’applicazione di due istituti, operazione oggettivamente inesistenti e operazioni soggettivamente inesistenti.
Se il fisco contesta un operazione oggettivamente inesistente, grava sul contribuente l’onere della prova dell’esistenza dell’operazione, se invece l’amministrazione contesta un operazione inesistente in questo caso è il fisco a dover provare la sostituzione.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 9912/2021, intervenendo in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, ha ribadito che l’emissione di una fattura irregolare, poiché redatta in maniera difforme rispetto ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del DPR 633/72, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, di modo che essa non può costituire titolo né per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, né per la deduzione del costo relativo (Cass. nn. 21980/2015 e 21446/2014).
Napoli.li 19/12/2021
Dott. Giuseppe Marino
Lascia un commento