Il Contribuente debitore non può essere vessato

 

Il debitore non può essere vessato, Cass. SSUU n.23726/2007 e abuso del diritto e violazione del principio della buona fede oggettiva

 

Quando il contribuente è destinatario, di fermo, ipoteca, blocco del conto corrente, che di fatto bloccano del tutto l’attività economica causandone la chiusura o il fallimento.

 

In giurisprudenza emerga la tendenza ad utilizzare soprattutto gli artt. 1175 (obbligo di correttezza del creditore e del debitore) e 1375 (esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede) per sanzionare comportamenti abusivi. L’art. 833 (riguardanti gli atti di emulazione) è ritenuto dai giudici espressione di un principio generale di divieto di esercizio abusivo del diritto.

Il possibile abuso all’area dei diritti di credito trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c.

Mi pongo la domanda se tali precetti di correttezza e buona fede non siano applicabili anche all’agenzia delle entrate riscossione, quando in modo spesso vessatorio, nei confronti dei contribuenti procede contemporaneamente o a breve lasso di tempo a aggredire il patrimonio con molteplici strumenti posti a disposizione dal legislatore.

Mi è capitato spesso che un cliente fosse destinatario, di fermo, ipoteca, blocco del conto corrente, che di fatto bloccavano del tutto l’attività economica causandone la chiusura o il fallimento. Io personalmente per sole 200 euro sono stato destinatario di un fermo amministrativo di 2 auto e una moto, azione certamente sproporzionata e vessatoria. L’agenzia delle entrate riscossione e specialmente i concessionari degli enti locali devono rispettare il Principio non scritto della ragionevolezza che discende dai principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento della Pubblica amministrazione.

Come l’abuso del diritto è sempre riconosciuto a danno del contribuente, i giudici dovrebbero iniziare ad accertarlo anche a carico dell’amministrazione finanziaria.

Un primo corollario del principio di ragionevolezza è l’onere di valutazione di ipotesi alternative di comparazione degli interessi in conflitto, nel caso del fermo amministrativo su tutto il parco auto del contribuente per soli 200 euro, l’uffici avrebbe dovuto optare per azioni meno gravose anche in considerazione dell’entità del debito. Lo stesso vale in materia di sanzioni che devono essere sempre adeguate e ragionevoli. Tutto il procedimento amministrativo e la gran parte degli istituti contenuti nella l.241/90 si fondano sul principio del buon andamento

In particolare dalla giurisprudenza si evince lo stretto collegamento con tale principio dei seguenti istituti: termine di conclusione (art. 2 L.241/90), necessità di concludere con provvedimento espresso (art. 2 L.241/90), motivazione (art. 3 L.241/90), istruttoria (dovere di soccorso e indipendenza organi), contraddittorio e partecipazione, preavviso di rigetto, autotutela. La giurisprudenza ha evidenziato collegamenti tra buon andamento e principi contenuti nell’art. 1 della L. 241/90  o da esso desumibili (principio di pubblicità, Principio di chiarezza e linearità, Principio di continuità (prorogatio), necessità di concludere il procedimento entro un congruo termine, necessità di concludere un procedimento con un provvedimento espresso), particolare attenzione al  Divieto di pendenza contemporanea di più procedimenti (divieto della contemporanea pendenza di più procedimenti amministrativi aventi lo stesso oggetto)

La Corte di Cassazione con sentenza n. 19883/2015 ha sancito un Principio di diritto in base al quale  la pubblica amministrazione agisce secondo la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico quando: 1) rispetta la legge (articolo 1, comma 1, L. 241/1990); 2) agisce in modo efficiente e senza inutili aggravi per i cittadini (articolo 1, commi 1 e 2, L. 241/1990); 3) non perde tempo, non si balocca e agisce a ragion veduta (articolo 97 Cost.); 4) è composta di funzionari preparati, efficienti, prudenti e zelanti (articolo 98 Cost.).

Il Principio di imparzialità contenuto nellart. 97 Cost. e dal 2009 anche nella l. 241/90, I canoni della buona fede oggettiva e correttezza è possibile enucleare una

serie di regole di condotta, alcune non tipizzate in norme giuridiche, che riguardano

l’agire amministrativo (in particolare il procedimento amministrativo).

Acclarato l’obbligo della Pubblica Amministrazione a comportarsi secondo i principi di ragionevolezza, correttezza e buona fede, nonché la possibilità di riconoscere l’abuso del diritto anche all’amministrazione finanziaria rilevabile negli artt. 1175 e 1375 c.c., in presenza di un rapporto di credito.

Voglio segnalare questa importantissima sentenza delle Sezioni Unite applicabile a tutti gli effetti all’attività degli agenti della riscossione esattoriale.

 Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che
deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

L’amministrazione finanziaria, gli enti locali e i loro  concessionari, spesso e  volentieri vessano il contribuente, per lo stesso debito azionano più procedimenti, fermo, pignoramento presso terzi, intimazione, ipoteca, ricorrere ai principi di questa sentenza è un ottimo rifermento Non è raro anche che nonostante il contribuente abbia rateizzato il debito,  senza alcun giustificato motivo viene emesso il ruolo. E’ chiaro che il sistema in base al quale, i dirigenti delle entrate e del concessionario, devono raggiungere dei budget e percepiscono percentuali sul ricavato, ha generato vessazioni e ingiustificate aggressione ai patrimoni dei contribuenti.

Con la pregevole Cass. SS.UU. 15 novembre 2007, n. 23726, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito un principio di civiltà giuridica, il debitore non può essere vessato, Il frazionamento del rapporto sostanziale e quindi l’aggressione plurima al contribuente per lo stesso debito, che inesorabilmente si ribalta in sede processuale si pone in contrasto:   a) con l’art. 88 c.p.c., il quale va letto alla luce «della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione»;   b) col principio del giusto processo accolto dall’art. 111 della Costituzione.   Tali principi costituiscono, una significativa difesa nel segno della lealtà e della lotta all’abuso (del processo).   Se da un lato è vero che il titolare di una posizione giuridica soggettiva è libera sul se attivare o meno la propria pretesa, libertà tutelata dall’ordinamento è pur vero che tale libertà ha subito una rilettura, resesi necessaria da continui comportamenti vessatori e di aggressioni gratuite, che hanno fatto nascere un nuovo istituto, l’abuso del diritto. L’abuso del diritto, quindi, si presenta strettamente correlato ai principi di buona fede e di correttezza, quasi riportando il sistema alla definizione di Celso per cui il diritto era “ars boni et equi” ossia il diritto è l’arte di ciò che è buono ed equo, ed il suo oggetto avrebbe necessariamente dovuto tendere all’aequitas, ossia al raggiungimento della migliore soluzione possibile in concreto (e, aggiungiamo non contrastante, nemmeno indirettamente, con l’ordinamento ed i suoi principi Nella sentenza Cassazione civile sez. III  18 settembre 2009 n. 20106  la Corte, definisce il principio della buona fede oggettiva, come  reciproca lealtà di condotta, che deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476)   Cassazione civile , sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726.

Dott. Giuseppe Marino


scarica la sentenza Cass.23726.2007

 

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