Le cessioni di quote non possono essere qualificate come cessione d’azienda

Ai fini dell’imposta di registro la cessione di quote non può essere riqualificata come cessione di azienda, non essendo più consentito all’amministrazione finanziaria, riqualificare gli atti per espresso richiamo all’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis della L. 212/2000. L’interpretazione autentica dell’art. 20 del Dpr 131/86 ha effetto retroattivo, limitando il potere impositivo all’atto registrato e al suo contenuto formale.

Quindi quello che succedeva prima, quando il fisco aveva il potere di riqualificare una cessione di quote in cessione d’azienda, non è più consentito ai fini dell’imposta di registro, la nuova norma vincola l’ufficio a limitarsi all’aspetto formale dell’atto registrato.

Riferimenti normativi: Art. 20 Dpr 131/86, nell’art. 1, co. 1084, della I. n. 145 del 2018, dall’art. 1, co. 87, della I. n. 205 del 2017, dell’art. 10- bis della I. n. 212 del 2000

Riferimenti Giurisprudenziali: Cassazione 11435/2022, Corte Costituzionale sentenza n. 158/2020, Corte Costituzionale sentenza n. 39/2021

L’efficacia retroattiva dell’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, nel testo novellato dall’art. 1, co. 87, della I. n. 205 del 2017, per effetto della precisazione contenuta nell’art. 1, co. 1084, della I. n. 145 del 2018,  vieta all’Amministrazione finanziaria la  facoltà di riqualificare gli atti.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 158/2020, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, (giusto rinvio della Cass. ord. n. 23549/2019), in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205 del 2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145 del 2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base ai loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extra testuali.

L’introduzione dell’art. 10- bis della I. n. 212 del 2000, consentiva all’Amministrazione finanziaria di operare, appunto, in funzione antielusiva, senza peraltro l’applicazione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, svincolandosi da ogni riscontro probatorio di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima possibilità di pianificazione fiscale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/2021, si è nuovamente espressa sulla questione concernente la legittimità dell’intervento legislativo che ha interessato il più volte citato art. 20, d.p.r. n. 131 del 1986, dapprima con l’art. 1, co. 87, lett. a), I. n. 205 del 2017, e poi con l’art. 1, comma 1084, I. n. 145 del 2018, ed ha osservato che 5 esso deve essere letto come destinato non già “all’ambito semantico di una singola disposizione”, ma piuttosto “a quello dell’intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro», dove la sua origine storica di imposta d’atto «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020).

All’Ufficio, pertanto, deve ritenersi impedita la riqualificazione di un unico negozio, come di più o meno articolate sequenze negoziali, applicando il più volte citato art. 20, sulla base della valorizzazione di elementi extra testuali.

Napoli,li 19/04/2022

Avv. Giuseppe Marino

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