Il Giudice Tributario non può andare a cercarsi le prove, devono essere offerte dall’agenzia delle entrate

Il Giudice Tributario non può ordinare l’esibizione di prove, tale attività è consentita soltanto nella impossibilità delle parti di produrle, quindi è necessario che  le parti lo richiedano perché  ne sia inibita l’acquisizione e non per semplice inerzia, (ad esempio, la Pubblica amministrazione non rilascia un documento e il contribuente chiede l’intervento del giudice)

Riferimenti normativi: art. 7 comma 5 bis Dlgs 546/92, art. 7, comma 1, Dlgs 546/92

Riferimenti giurisprudenziali: Cass.n. 10166/2024, Cass.n. 955/16, Cass.n. 1946/12, Cass.n. 13665/01 – Cass.n. 16171/18; Cass.n. 16476/20; Cass.n. 955/16

Nel processo Tributario vige il principio dispositivo, per cui il Giudice Tributario non può sopperire alle lacune probatorie delle parti, cercando le prove, ma deve attenersi a quelle prodotte dalle parti, il suo intervento deve essere limitato alle prove che le parti non riescono ad ottenere, ad esempio perché la pubblica amministrazione non rilascia i documenti. Corte Costituzionale sentenza n.109/2007.

Che l’onere della prova gravasse sull’ente impositore è sempre stato un onere già previsto dall’art. 2697 del cc, come affermato dalla sopra citata setenza della Corte Costituzionale. Oggi con l’introduzione del comma 5 bis dell’art. 7 del Dlgs 546/1992 ad opera della Legge 130/2022, l’onere è rafforzato a livello processuale.

Il processo tributario è informato alla regola generale di distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 cod.civ., con la conseguenza che  è l’ente impositore, attore in senso sostanziale, ad essere gravato dall’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, più non operando nei confronti del giudice ordinario e di quello tributario la presunzione di legittimità degli atti amministrativi e, tra questi, di quelli impositivi (Cass.n. 10166/2024, Cass.n. 955/16, Cass.n. 1946/12, Cass.n. 13665/01).

Il carattere dispositivo, e non inquisitorio né acquisitivo, del processo tributario è stato dal legislatore nel tempo rafforzato attraverso l’abrogazione (art. 3 bis, comma 5, D.L.  203/2005 convertito in legge 248/05) dell’art. 7, comma 3, d.lgs. 546/92, il quale sanciva che: “è sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”. Per quanto non direttamente applicabile alla fattispecie qui dedotta, si osserva come questa linea evolutiva dell’ordinamento sia recentemente culminata nell’introduzione del co. 5 bis nell’art. 7 in esame, da parte della legge 130/2022. Come osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 109/07 (dichiarativa della infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, d.lgs. 546/92, ex artt. 3 e 24 della Costituzione) “ la rilevanza pubblicistica dell’obbligazione tributaria giustifica ampiamente i penetranti poteri che la legge conferisce all’amministrazione nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provvedimento impositivo, ma certamente non implica affatto,  nè consente, che tale posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo, sia contaminata l’essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di longa manus dell’amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presupposti del loro esercizio (o non esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una vera e propria supplenza dell’amministrazione”. All’esito della suddetta abrogazione, sono in effetti residuati in capo al giudice tributario determinati poteri istruttori di natura acquisitiva ed informativa, ma ciò nei soli limiti del 1 comma del medesimo art. 7 (però insuscettibile di determinare la strumentale ed indiretta reviviscenza della disposizione abrogata) e, stante il richiamo ex art. 1, comma  2, d.lgs. 546/92, nei limiti di cui agli artt. 210 (con necessità di una richiesta di parte) e 213 (informativa presso una PA che non sia parte del giudizio) del codice di rito. La giurisprudenza di questa Corte – appunto nel vagliare il perimetro di esercizio di questi residui poteri di acquisizione probatoria del giudice tributario, segnatamente nel prisma del primo co. dell’art. 7 cit. – ha più volte ribadito la natura dispositiva del processo tributario (improntato alla ‘parità delle armi’) e, in particolare, il principio per cui in nessun caso il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova “può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, e sempre che la parte su cui ricade l’’onus probandi’ non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita” (Cass.n. 16171/18; Cass.n. 16476/20; Cass.n. 955/16).

Napoli, li 21/04/2024

Avv. Giuseppe Marino

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